Enzo Ferrari è uno dei più grandi geni che si siano mai visti nella storia d’Italia e non è un caso che la sua figura sia ancora ricordata.
Nella storia d’Italia sono davvero pochi i personaggi che sono stati in grado di scrivere pagine così memorabili come è stato in grado di fare Enzo Ferrari, un autentico genio della sua epoca che ha potuto far sì che partisse il grande mito e la storia leggendaria della Rossa.
Ci sono delle vite che sono in grado di cambiare per sempre il corso dell’umanità, esistenze che non possono essere solamente di passaggio, ma che grazie al loro genio e alla loro invettiva sono in grado da un momento all’altro di modificare il corso della storia.
Di Enzo Ferrari si potrebbe parlare per ore, anche per giorni, perché la sua intuizione e la sua genialità è andata ben oltre quello che si poteva vagamente prevedere e partendo da una piccola officina nella provincia di Modena è riuscito a creare un impero che ancora oggi è intoccabile.
Da quella piccola azienda di famiglia “Officina Alfredo Ferrari” è iniziato grazie alla sua caparbietà e alla sua testardaggine a voler ampliare l’attività che era stata avviata dal padre, perché Enzo voleva in tutti i modi cercare di entrare nel mito.
Le corse erano il futuro e dunque bisognava cercare in tutti di entrarci in tutti i modi possibili e per farlo servono due cose fondamentali: conoscenza tecnica per poter costruire una vettura di primo livello e abilità nello scovare i piloti migliori, perché senza qualcuno capace di guidare al massimo, la monoposto da sola non vola.
Nacque così negli anni ’30 il mito della Ferrari assieme a quello di Tazio Nuvolari, uno dei più grandi di sempre, un amico fraterno del Drake e uno di quei personaggi che è sempre stato raccontato con una lacrimuccia pronta a scendere dagli occhi lucidi del modenese.
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Ed è proprio con il rapporto con certi piloti che oggi lo vogliamo omaggiare a 124 anni esatti dalla sua nascita, perché da quel freddo e nevoso 18 febbraio 1898 le cose sono davvero molto cambiate.
Il rapporto di Enzo Ferrari con i piloti è sempre stato di amore e odio perché per lui dovevano essere dei dipendenti che facessero il bene della Scuderia e non pensassero alle ambizioni personali.
Non è dunque un caso che il rapporto con Juan Manuel Fangio durò solamente un anno, perché in quel 1956 la Ferrari, unica volta che si unì alla Lancia con la Scuderia torinese che omaggiò la Rossa della vettura che avrebbe dovuto essere di Ascari morto tragicamente l’anno prima, era davvero la vettura più forte e non c’era bisogno di guerre interne.
Il Chueco voleva vincere a tutti i costi e in certi casi ebbe anche degli screzi con Musso, tanto è vero che il romano decise di non concedergli gli ultimi giri con la sua monoposto nell’ultimo GP, e solo il buon cuore di Collins, che poteva diventare campione del mondo quel giorno, fu determinante per la vittoria dell’argentino del suo quarto titolo iridato.
Un altro rapporto molto particolare fu quello con Niki Lauda, perché l’austriaco fu un’autentica scommessa di Enzo che lo prelevò giovanissimo dalla March e lo fece diventare una delle più grandi icone di questo sport.
Purtroppo però in molti in casa Ferrari erano convinti che l’austriaco avesse perso quella cattiveria necessaria per vincere dopo il grave incidente del Nurburgring e così, dopo aver vinto nel 1977, lasciò con due gare d’anticipo, ma Enzo lo dimenticò mai, tanto che nel 1979 dopo la vittoria del Mondiale di Scheckter, gli mandò una lettera con scritto:” Se fossi rimasto avremmo vinto ancora di più e avremmo aperto un ciclo memorabile”.
Gli ultimi due uomini amati alla follia da Enzo sono stati però Gilles Villeneuve e Michele Alboreto, con il rapporto creatosi che fu davvero molto simile a quello tra padre e figlio.
Il canadese venne scoperto quando faceva il pilota di slitte in Canada e dopo una sola gara in McLaren divenne il sostituto di Lauda e, nonostante un primo anno molto complicato con l’Aviatore che ruppe la macchina tantissime volte, Ferrari non volle mai lasciarlo andare, fino a quando non fu il Fato a togliere dalla Terra quel meraviglioso piccolo pilota.
Michele Alboreto è stato invece l’unico pilota per il quale Enzo ha messo davanti il bene suo a quello della Scuderia e quando nel 1985, in piena lotta per il titolo con Prost, gli venne cambiato il motore causando così la fine del sogno iridato per il lombardo il Drake affermò:” Dobbiamo un Mondiale a Michele“.
Se ne andò nell’agosto del 1988, nell’anno del dominio McLaren di Prost e Senna, ma nella Monza subito successiva non poteva che essere un tripudio Rosso, con il francese e il brasiliano che incredibilmente ruppero e permisero così a Berger e Alboreto di realizzare una doppietta clamorosa, unica gara dell’anno non vinta dalla Scuderia di Woking.
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Il Drake ce l’aveva ancora fatta, era stato il suo regalo d’addio alla Ferrari facendo capire che anche da lassù avrebbe continuato a vegliare sulle sorti del suo gioiellino, perché alla fine il mondo è diventato davvero un posto migliore grazie all’intuizione di quel genio assoluto che è stato Enzo Ferrari.
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