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F1, tra muri pericolosi e missili: aveva davvero senso correre a Jeddah?

Lo scorso weekend a Jeddah un GP di F1 su una pista pericolosa, nonostante le modifiche. E l’attentato yemenita ha aggravato la situazione.

Ancora tanta battaglia in pista a Jeddah, nel secondo appuntamento iridato della F1 di quest’anno. Max Verstappen e Charles Leclerc hanno dato vita a un nuovo confronto entusiasmante, ma in generale sono diversi i sorpassi che abbiamo visto. Segno che il nuovo regolamento ha davvero ottenuto il suo obiettivo, ossia vetture capaci di seguirsi più da vicino e di regalare maggiori sorpassi dopo lotte più ravvicinate rispetto al passato.

Alcune fasi della gara di Jeddah (foto Ansa)

C’è però da dire che non è tutto oro quello che luccica. Infatti in Arabia Saudita, proprio in nome dello spettacolo, è andata in scena un altro “film”, il cui risultato è tutt’altro che edificante. E riguarda tutto ciò che è accaduto venerdì, a seguito dell’attacco dei ribelli yemeniti al deposito petrolifero della Aramco, sponsor della F1 e della Aston Martin, situato a circa 20 km dal tracciato. Ma non solo.

F1 a Jeddah, tra terrorismo e pericoli in pista

Partiamo infatti prima dal fatto che la pista di Jeddah si è confermata essere ancora una “trappola per topi” per questa F1. Già nel dicembre dello scorso anno la pista aveva ricevuto elogi per il suo layout molto veloce, ma i piloti avevano aspramente criticato i suoi standard di sicurezza e la carenza di visibilità in alcuni punti. Muretti troppo vicini ai cordoli e vie di fuga praticamente ridotte all’osso e solo in alcuni punti stavano a significare che un incidente era altamente probabile. E già lo scorso anno alcuni botti clamorosi avevano fatto discutere.

I suggerimenti dei piloti e della FIA hanno quindi spinto gli organizzatori di Jeddah ad apportare alcune modifiche al tracciato in vista della gara di quest’anno. A partire dalle curve 2 e 3, dove lo scorso anno era apparsa la bandiera rossa. In generale son ostati diversi i cambiamenti, ma tutto questo non ha comunque reso meno pericolosa la pista, dove anche in questa occasione si sono visti incidenti paurosi, vedi quello di Mick Schumacher.

Se a tutto questo aggiungiamo poi la questione sicurezza dovuta agli attacchi dei ribelli Houthi a praticamente un soffio dalla pista di Jeddah, il quadro è completo. In realtà l’allarme terrorismo era scattato già la settimana precedente, quando in contemporanea al GP del Bahrain un attacco simile era sempre stato portato a segno verso il deposito petrolifero arabo. Durante la prima giornata di libere poi l’episodio più eclatante, con i missili che hanno provocato un vasto incendio, visibile a occhio nudo dalla pista, con i piloti che hanno anche potuto sentire l’odore del petrolio che stava bruciando.

La notizia dell’attentato ha naturalmente sconvolto i piloti, che dopo le seconde libere, posticipate già di 15 minuti a causa già di questa questione, hanno avuto una lunga riunione a cui erano presenti i rappresentati FIA e gli organizzatori del GP. Dopo le rassicurazioni avute, la decisione è stata quella di proseguire con il normale svolgimento dell’evento, anche se alcuni piloti hanno espresso il loro timore. Dopo ulteriori discussioni però si è arrivati alla firma di un accordo che ha permesso alla F1 di portare a termine il weekend.

Come ha confessato poco dopo Valtteri Bottas, dai vertici della F1 è arrivata anche la promessa di “riconsiderare tutti gli eventi futuri, incluso il Gran Premio dell’Arabia Saudita”, proprio in nome della massima sicurezza per i piloti e di tutto il Circus. E allora viene da chiedersi: perché tutto questo non è stato preso in considerazione prima? Non era già un rischio correre a Jeddah questo weekend, con le bombe che erano piovute in pratica a un rito di schioppo dalla pista? E perché continuare a correre su un tracciato palesemente pericoloso, vista la vicinanza dei muretti e le scarse vie di fuga?

La risposta è come sempre che il dio Denaro può tutto? Episodi simili in passato si sono già visti, dove in nome dello show e dei “contratti già firmati”, si è comunque corso, senza preoccuparsi troppo del fattore sicurezza dei piloti. Stavolta però forse si è andati ben oltre. Ed è il caso che la F1 dalle promesse (fatte ai piloti) passi ai fatti.

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