Nel corso della sua storia, la Scuderia Ferrari, ha scelto di riprendersi degli uomini chiave che, però, hanno deluso le aspettative.
La Scuderia Ferrari negli ultimi anni è finita nel caos. Dopo le gloriose stagioni con Michael Schumacher nei primi anni 2000, la Ferrari ha chiuso un cerchio straordinario con Kimi Raikkonen nel 2007, vincendo il campionato costruttori anche l’anno successivo. Da allora la Ferrari è crollata in un incubo dal quale non è ancora uscita. A Maranello sono passati diversi uomini e tanti campioni che hanno cercato di spingere la squadra verso nuovi traguardi.
L’era ibrida della Formula 1 ha visto, però, una sola squadra dominare in lungo e largo. Dopo aver subito lo smacco del ciclo di vittorie del team Red Bull Racing, la Ferrari ha osservato inerme la Mercedes aprire un ciclo di vittoria superiore a quello storico della Rossa dal 1999 al 2004. Sergio Marchionne era riuscito, con entusiasmo, a riportare la Ferrari in lotta per il titolo mondiale. L’improvvisa scomparsa dell’ex presidente della Rossa ha creato un vuoto incolmabile.
Il nuovo corso del presidente John Elkann, sin qui, è stato un completo fallimento. I vertici della Cavallino, incredibilmente, sono risultati lontani dalle piste in un momento molto delicato. Oltre all’assenza di una cultura motoristica, è mancato un appoggio concreto al team principal Mattia Binotto. Quest’ultimo ha scelto di farsi carico, in sostituzione di Maurizio Arrivabene, di tutte le responsabilità del Cavallino Rampante.
Le minestre riscaldate della Ferrari
Dal punto di vista tecnico il team italiano ha manifestato delle grandi carenze nel confronto con la squadra di riferimento del circus. La Mercedes dal 2014 è risultata essere, semplicemente, di un’altra categoria. In questa tribolata stagione la Ferrari ha visto anche la Red Bull Racing riuscire, grazie ai progressi motoristici della Honda, a combattere per il mondiale. La Ferrari si è ritrovata in questa complicata situazione per svariati motivi. A causa di alcune scelte sbagliate della precedente dirigenza la Scuderia ha perso anche potere politico nella stanza dei bottoni. Ai piani alti, a partire dal presidente Luca Cordero di Montezemolo, sono state prese decisioni che hanno favorito la concorrenza.
Il primo grande problema della Ferrari è stato quello di formare dei grandi professionisti che sono andati a rinforzare, dopo l’esperienza a Maranello, altri top team. Negli anni numerosi tecnici sono sbarcati ai diretti concorrenti dove hanno trovato ricchezze e fama. Oltre ad un ambiente con meno pressioni, i tecnici all’estero hanno potuto togliersi molte soddisfazioni, riuscendo a rimanere al top.
La Ferrari, inoltre, ha commesso un errore clamoroso accettando gli attuali regolamenti tecnici, pur non essendo pronta al passaggio alla tecnologia ibrida. Per cercare di mettere una pezza ad una situazione molto complicata, la Scuderia ha provato ad attirare alcuni uomini che avevano scritto pagine importanti nella storia del Cavallino Rampante.
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Personaggi come Rory Byrne, fondamentale nei successi della Rossa all’epoca di Schumacher, sono stati richiamati nel disperato tentativo di recuperare il terreno perduto. A distanza di molti anni il ruolo ricoperto dall’ingegnere e progettista sudafricano è stato piuttosto marginale. Anche il ritorno dell’ultimo campione del mondo della Rossa, Kimi Raikkonen, non ha dato l’impulso che la dirigenza di Maranello attendeva.
E’ notizia delle ultime ore l’eventuale ritorno alla base di Jean Todt, uomo chiave dei successi della Ferrari nei primi anni 2000. Il francese, però, non andrebbe a ricoprire il ruolo di direttore tecnico bensì diventerebbe (secondo quanto riportato da Giorgio Terruzzi) un super consulente in stile Niki Lauda in Mercedes. La Ferrari farebbe meglio ad investire sul futuro, cercando di trovare risorse giovani all’altezza del delicato compito che aspetta il Cavallino nell’immediato futuro.