La Scuderia Ferrari è crollata in un buco nero e nel 2022 il mondiale è d’obbligo. Scopriamo i perché della crisi di Maranello.
La Ferrari corrisponde alla maggior parte della storia della F1. La Scuderia di Maranello è la più blasonata del Circus, con 1024 gare disputate e 238 vittorie: nessuno è mai arrivato a tanto. Il palmares del Cavallino ha dalla sua 16 mondiali costruttori e 15 piloti, più di chiunque altro. Si tratta di un mito italiano, un’icona in tutto il mondo, attualmente in crisi.
Se le vendite ed il lato commerciale vanno a gonfie vele, lo stesso non si può dire per la squadra sportiva, che da troppi anni ormai attende la sua riscossa. L’ultimo titolo piloti risale al lontanissimo 2007, quando Kimi Raikkonen beffò le McLaren di Lewis Hamilton e Fernando Alonso all’ultima gara. Grazie alla spy story, la rossa portò a casa anche il titolo a squadre, approfittando dell’esclusione del team di Woking.
Lo stesso mondiale venne conquistato anche nel 2008, anno in cui Felipe Massa venne però battuto, sempre in Brasile, dall’astro nascente britannico, che di lì a pochi anni sarebbe diventato il più vincente di sempre. Il digiuno in cui è crollata la Ferrari è il secondo più lungo di sempre, dopo quello che iniziò nel 1979 e terminò nel 2000.
Dopo l’iride di Jody Schekter e la doppietta tra i costruttori del 1982 ed il 1983, il Cavallino conobbe un’infinita crisi di risultati, che portò diverse volte alla ricostruzione del team. Dopo la gestione di Cesare Fiorio, venne chiamato a Maranello Jean Todt, che sotto la guida di Luca Cordero di Montezemolo costruì il team più forte di sempre. Il resto lo fece un certo Michael Schumacher.
Il merito del tedesco e di quella gestione fu quello di ripartire praticamente da zero, fino a costruire un dominio che solo la Mercedes di oggi riuscì a migliorare nei risultati. Dopo il ritiro di Schumi nel 2006, la rossa riuscì a giocarsi i due mondiali successivi, corsi con monoposto che erano ancora figlie dei regolamenti con cui correva il Kaiser. Dal 2009, tutto cambiò.
Ferrari, i motivi del crollo della Scuderia
I regolamenti imposti per quella stagione proiettarono la Ferrari in uno dei periodi più bui di sempre. Nel 2009 arrivò una sola vittoria, mentre l’anno successivo giunse Fernando Alonso. Lo spagnolo, sia nel 2010 che nel 2012, fece dei miracoli sportivi senza precedenti, che lo portarono a perdere il titolo solo all’ultima gara, nonostante una vettura lontana anni luce dalla Red Bull di Sebastian Vettel.
In questo decennio, i problemi della rossa sono stati quasi sempre gli stessi: i progetti venivano spesso sbagliati sin dall’inizio o, viceversa, in caso di vettura competitiva, non si era poi in grado di svilupparla a dovere durante la stagione. Sin dall’avvento delle gomme Pirelli targato 2011, la rossa non ne è mai riuscita a farne un utilizzo adeguato.
I problemi di trazione hanno sempre contraddistinto la Ferrari anche nei primi anni dell’era ibrida, periodo dove non si è mai riusciti ad impensierire realmente la Mercedes. Sono state tentate diverse rivoluzioni al timone della squadra, e dopo Stefano Domenicali e Marco Mattiacci, nel 2015 arrivò Maurizio Arrivabene nel ruolo di team principal.
Sotto la guida di Sergio Marchionne (nuovo presidente del Cavallino dal 2014), la rossa riuscì pian piano a ritrovarsi, grazie anche all’arrivo di Vettel. Dopo due stagioni di rodaggio, nel 2017 venne presentata l’ottima SF70H, che permise al tedesco di restare in gioco per il mondiale molto a lungo, prima dei ben noti problemi di affidabilità.
L’anno successivo fu piuttosto simile, ma Seb ci mise molto del suo commettendo errori su errori. La Ferrari non fu certo perfetta, né nella gestione dei piloti né tantomeno sullo sviluppo della monoposto. Da Monza in poi infatti, la Mercedes prese il largo, ed anche la Red Bull si avvicinò. I mondiali restarono una chimera, ed al posto di Arrivabene venne promosso il tecnico Mattia Binotto.
La gestione Binotto ed il crollo del peso politico
Alla morte di Marchionne, in Ferrari cambiarono molte cose. Simone Resta, tecnico molto valido, andò in Alfa Romeo Racing e Binotto si prese sulle spalle il peso del team. Il 2019 fu una stagione deludente, ed uno degli episodi più controversi avvenne alla fine di quell’anno.
La power unit di Maranello finì sotto accusa, e la Scuderia strinse un accordo segreto con la FIA di cui non sapremo mai i contenuti. Fatto sta che la superiorità motoristica della rossa scomparve nel 2020, una delle annate più nere del Cavallino. Attualmente si sta lavorando molto sul progetto 2022, anno in cui vincere il mondiale dopo la rivoluzione regolamentare appare fondamentale.
A livello di numeri, la crisi della Ferrari è facilmente riscontrabile: la rossa ha vinto almeno una gara l’anno dal 1994 al 2013, mentre nel 2014, nel 2016 e nel 2020 non è arrivata neanche un’affermazione. Il decennio compreso tra 2010 e 2019 non ha portato neanche un titolo mondiale, cosa che non era mai avvenuta in precedenza dal 1950 in avanti.
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Tutto ciò lascia riflettere su quanto sia successo a Maranello in tempi recenti, e la certezza è che per il prossimo futuro non ci sono scuse. Piloti come Alonso e Vettel non sono riusciti a vincere il mondiale nonostante l’immenso talento a disposizione, ed ora tocca a Charles Leclerc. La rossa sa benissimo che occorre una monoposto competitiva per non perdere il gioiello monegasco. E la pressione per il prossimo anno è alle stelle.