Un giocatore picchiato è sempre una scena agghiacciante. Vittorio Tosto è un terzino sinistro con licenza di offendere.
Classe 1974, vanta una carriera calcistica davvero sopra la media. Ben sette stagioni da protagonista in serie A, con le maglie di Salernitana, Piacenza, Ascoli, Genoa ed Empoli.
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La squadra che gli è rimasta nel cuore, ed è lui stesso a ribadirlo in più occasioni, è la Salernitana. In Campania giocò prima giovanissimo, dopo essere cresciuto nel Torino, poi approdò nel pieno della sua esplosione di atleta, contribuendo alla straordinaria cavalcata nella massima serie A, anno 97-98, con Delio Rossi in panchina, e compagni di squadra straordinari quali Ciccio Tudisco, Igli Vannucchi, Giovanni Pisano, Roberto Breda.
Una stagione nella massima serie sfortunata, quella successiva, alla riconferma in maglia granata. Una retrocessione cocente, con Oddo in panchina, nonostante un girone di ritorno straordinario, i granata non riuscirono a colmare la partenza disastrosa.
Vittorio Tosto era uno tranquillo in campo, un giocatore corretto. Pochissime ammonizioni in carriera, mai un diverbio con un compagno o un avversario.
Ma al cuore non si comanda e lo spirito indomito calabrese emergeva di fronte a quelle che lui riteneva vere e proprie prepotenze, davanti alle quali Tosto con fierezza sapeva opporre resistenza.
Correva l’anno 95-96 e Tosto, scuola Torino, fresco di leva appena conclusa, già una stagione in prestito alla Salernitana maturata in Lega Pro e una con la Lucchese, viene mandato in prestito ad Avellino.
Siamo in serie B, i lupi non brillano ma ogni anno rischiano di affogare. Tosto pure condisce la sua stagione con 31 presenze ed una rete ma non entrerà mai nel cuore dei tifosi.
E’ lui stesso a raccontarlo più volte quando ne ha l’occasione, menzionando Avellino come una esperienza che, se oggi potesse, non ripeterebbe mai.
A fine gara, dopo ogni vittoria, Tosto viene chiamato con i compagni sotto la mitica Curva Sud biancoverde dall’allora capo ultras.
La richiesta è sempre la stessa: i calciatori devono urlare cori contro l’odiata Salerno. “Chi non salta di Salerno è”. Tosto non ci sta. Non accetta. Una, due volte, tre. I tifosi della Sud vedono che non “obbedisce”. Il capo ultras lo riprende da parte. Tosto è chiaro: Salerno gli ha dato tanto, non se la sente, per rispetto. Ma il responsabile della tifoseria non ci sta. Un pomeriggio, all’uscita dall’allenamento, Tosto viene bloccato da quattro energumeni.
Volano parole grosse e botte. Tosto non reagisce. E’ calabrese. Si tiene tutto dentro e a fine stagione andrà via. Nell’ambiente però lo sanno tutti: giornalisti, addetti ai lavori, compagni. Tosto confesserà anche, anni dopo, che non denunciò, ma convocò amicizie dalla Calabria per rispedire al mittente i messaggi ricevuti. E ciò avvenne puntualmente.
Oggi quel capo ultras a distanza di anni non nega: anzi sostiene apertamente che Tosto era un fanatico e che ad Avellino “divenne uomo”. Altro calcio, altri tifosi, altre storie di quando i panni sporchi si lavavano decisamente in famiglia e gli schiaffi a un calciatore poco avvezzo alle regole erano routine. Come in quelle piazze calde dove i tifosi avversari nei sottopassaggi ne vedevano di cotte e di crude.
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