Oggi il poker viene giocato per la maggiore in contesti in cui l’attività principale organizzata è il gioco d’azzardo. Nei casinò e nelle case da gioco, infatti, sono presenti anche slot machine e simili. L’associazione di queste attività è solo un errore di definizione?
Spesso la reputazione del poker viene travisata dalla montagna di commenti e notizie riportate in modo sensazionalistico, da persone che probabilmente non si sono mai neanche prese il disturbo di analizzare la questione a fondo e in modo acritico, senza quindi i classici pregiudizi che riguardano qualsiasi gioco o sport “non convenzionale”.
Quello che a prima vista può sembrare un semplice fastidio o inezia dovuta a permalosità eccessiva, per molti professionisti che hanno fatto di questo gioco una fonte di sostentamento e, fondamentalmente, un lavoro, la questione si fa decisamente seria. Andiamo quindi a vedere nel dettaglio, sia dal punto di vista giuridico che pratico, qual è il rapporto tra il poker e la legislazione che regolamenta il gioco d’azzardo in Italia.
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Per prima cosa dobbiamo definire cosa, per la legge italiana, è considerato un gioco d’azzardo. La più alta fonte cui possiamo fare riferimento sono gli articoli del codice penale che lo definiscono in modo chiaro:
“..sono tali quelli nei quali, ricorrendo il fine di lucro, la vincita o la perdita è esclusivamente o quasi esclusivamente rimessa a fattori di aleatorietà. Un gioco può definirsi aleatorio quando è rischioso, imprevedibile, dall’esito incerto: in buona sostanza, appunto, d’azzardo” (Art. 721 cod. penale)
Si rende allora necessaria qui un’altra precisazione. Il gioco d’azzardo non è sempre illegale. Si configura come illecito solo ed esclusivamente nei casi in cui lo stesso non sia direttamente autorizzato dallo Stato. Questo fa sì che qualunque tipo di gioco che preveda vincite di somme di denaro da attribuirsi esclusivamente o quasi alla fortuna, nei quali cioè l’abilità del giocatore ricopre un ruolo marginale o assente, devono necessariamente ottenere preventivamente l-autorizzazione dall’Agenzia delle Dogane e Dei Monopoli, ossia l’A.A.M.S.
Come in moltissimi altri aspetti e settori, la legislazione italiana in merito è abbastanza combattuta e per certi versi contraddittoria, quando non proprio illogica. Il Poker Texas Hold’em, non sarebbe considerato gioco d’azzardo, a determinate condizioni, secondo tre sentenze della Corte Suprema di Cassazione. La legge in tema di gioco d’azzardo relativo all’Hold’em è un po’ vaga anche a causa delle due modalità differenti in cui possiamo dividere il gioco: le modalità torneo (sit and go compresi) e la modalità di gioco cash game. In sostanza, pur trattandosi dello stesso gioco e quindi praticamente con le stesse regole, cambiano i criteri con cui i giocatori possono parteciparvi.
Stando a diverse sentenze della Cassazione in materia, nel 2011, 2013, 2015, la modalità torneo, a patto che rispetti i parametri di tassa di iscrizione fissa e l’iscrizione non preveda cifre troppo importanti – non è da considerarsi un gioco d’azzardo, in quanto “si tratta di un gioco in cui l’abilità prevale sull’alea”. Discorso diverso invece per la modalità di gioco cash game. Per questa, trattandosi di una partita a soldi dove ogni giocatore non ha la certezza di mettere in gioco solo una quota di denaro definita a priori, è a tutti gli effetti da considerarsi, agli occhi della legge, come un gioco d’azzardo.
Le sale giochi e i circoli che vengono quindi sorpresi ad organizzare partite di poker in modalità cash game, sono passibili di denuncia per gioco d’azzardo. Insieme chiaramente ai giocatori che vi prendono parte e che subiranno quanto previsto dagli articoli del codice penale citati nella prima parte.
Senza dilungarsi eccessivamente, chiunque si sia anche solo superficialmente avvicinato al mondo del poker sa benissimo quanto questa distinzione sia decisamente lontana dalla realtà effettiva delle cose. Anzi, se proprio vogliamo andare a vedere, è proprio nella modalità torneo che il fattore di casualità ricopre un ruolo maggiore, rispetto alla modalità cash game. Nel primo caso, in un torneo, la varianza ha naturalmente un peso maggiore. Se non altro per il semplice fatto che gli esiti di una mano rispetto ad un’altra possono avere un peso enormemente diverso.
Ipotizziamo di partecipare a un torneo nel quale ho edge su tutti gli altri avversari. Durante l’evento gioco, per dire, 50 mani in tutto. Di queste magari 45 le vinco grazie alla mia superiorità tecnica e di abilità, 5 invece prendo quelle che in gergo vengono definite “sculate”. Gioco quindi la mano bene, allo showdown sono avanti, ma un colpo di grande sfortuna ribalta le sorti assegnando la vittoria all’avversario che ha giocato peggio. Se queste mani sfortunate arrivano in un momento avanzato del torneo, possono costarmi l’eliminazione, andando quindi a causare la vittoria di un giocatore meno abile, ma “più fortunato” in quello specifico frangente.
Caso contrario, gioco le stesse 50 mani in una partita in modalità cash game. In questo caso potrò anche prendere un colpo sfortunato una volta su dieci, come nell’esempio precedente, ma a questo punto risulta palese che l’abilità maggiore porterà a una maggiore vincita. L’aleatorietà è quindi, nei fatti e nella logica, minore rispetto alla modalità torneo.
Chiaramente si parla di grosse approssimazioni. Le variabili che vanno a influire sulla proporzione di abilità a casualità che influiscono sull’esito sono molte e su piani diversi. Di tipologie di torneo ne esistono centinaia e la sola giocabilità degli stessi può comportare una predominanza della fortuna o dell’abilità. Immaginiamo un torneo hyper-turbo online, con livelli che aumentano ogni 3 minuti, rispetto alla struttura meravigliosa degli eventi WSOP, con aumento di livello ogni due ore. Ma, analizzando a maglie larghe, sotto l’aspetto “incidenza dell’aleatorietà vs abilità nel gioco” è abbastanza inequivocabile lo sbilanciamento a favore del cash game rispetto alla modalità torneo.
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Non è ben chiaro come sia nata questa distinzione dall’esito a dir poco fuori da ogni logica. La motivazione più probabile riguarda forse la maggior rischiosità personale e sociale di una modalità piuttosto che l’altra. Su questo non ci piove. Giocando cash game è molto più semplice non avere più il controllo delle proprie perdite e crearsi dei danni economici non indifferenti. È ovvio che se pago una tassa di iscrizione fissa e posso giocare tutta la sera è più facile non rovinarsi rispetto a poter perdere un buy-in ad ogni mano. Ma che non si getti allora fango inutilmente giocando su definizioni errate e per certi versi palesemente denigratorie. Non fosse altro che online esistono diversi siti di Poker Texas Hold’em autorizzati da AAMS dove chiunque, previo invio di un documento d’identità in corso di validità, può aprire un conto e giocare al Texas Hold’Em in tutte le modalità forme, cash game compreso. Si tratta quindi di un attacco deliberatamente messo in atto contro i circoli e le strutture ove giocare dal vivo. Chi organizza dal vivo una partita, identica a quelle che si svolgono tranquillamente e legalmente online, rischiava una pena da tre mesi ad un anno di reclusione, oltre alle sanzioni pecuniarie, prima della depenalizzazione del 2015.
A voler pensar male, o semplicemente volendo aprire gli occhi, sembra semplicemente una scelta delle amministrazioni per mettere un freno alle attività fiscalmente più difficile da controllare. Le stesse amministrazioni che permettono a ogni bar o tabaccheria di tenere in bella vista slot machine, gratta e vinci e ogni lotteria possibile e immaginabile. Giochi che possono far perdere centinaia di euro in pochi minuti a chiunque magari fosse entrato anche senza l’idea di giocare. Peraltro senza che davvero qui ci sia la minima ombra di abilità dietro la possibilità di vincere.
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