La pandemia che ha stravolto le nostre vite nell’ultimo anno e mezzo, ha portato alla luce alcuni argomenti legati alla tolleranza al rischio che generalmente non vengono presi seriamente in considerazione dalla grande massa. Ecco il pensiero della famosa poker player Maria Konnikova.
Maria Konnikova è una scrittrice russo-americana con un dottorato in psicologia dalla Columbia University e moltissime produzioni. Ha da qualche anno rivolto i propri interessi proprio al mondo del poker e la psicologia ad esso collegata, unendo la sua esperienza al tavolo da gioco con le sue competenze specialistiche.
Già autrice di tre libri, ha dedicato l’ultimo di questi al poker. “The Biggest Bluff”, pubblicato a gennaio di quest’anno. Seppur giochi realmente da pochi anni, la giornalista e scrittrice ha già collezionato un discreto successo vincendo diverse centinaia di migliaia di dollari e si è aggiudicata un primo premio ad un evento PCA, il famoso PokerStars Caribbean Adventure.
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In un’intervista rilasciata alla CNN, la Konnikova ha espresso il suo pensiero riguardo al ruolo della tolleranza al rischio, dal momento che l’autrice ha dovuto ragionare e fare ricerca in modo approfondito in vista della stesura proprio del suo ultimo libro legato al mondo del poker. Fare delle valutazioni circa i rischi per la salute, in special modo quando non è in pericolo solamente la propria salute ma anche quella di altre persone, è un gioco completamente diverso. Mentre gli Stati Uniti continuano a riaprire anche se alcuni degli altri paesi sono ancora nella morsa della pandemia, la gente si trova nuovamente a dover fare i conti con la tolleranza al rischio.
Questo significa dover ancora una volta confrontarsi con i propri bisogni e desideri, le proprie emozioni e la continua rivalutazione dei limiti della propria zona di comfort e delle proprie abitudini.
Cos’è la tolleranza al rischio? “La tolleranza al rischio – spiega Maria Konnikova – è quanto sei a tuo agio a fare valutazioni rischi/benefici, e se effettivamente utilizzi la tua parte razionale per fare questi calcoli o meno”
Maria prosegue spiegandoci che ci sono persone che fanno queste valutazioni e da subito mostrano una certa tendenza. Alcuni sono abbastanza avversi al rischio, altri invece sono propensi a prendersi tali rischi seppur consci della situazione. Le persone che appartengono a questa seconda categoria vengono definiti risk-seeker, ossia cercatori di rischi.
Durante la pandemia da Covid-19, prosegue Konnikova, è fondamentale non tanto soffermarsi sulla questione dei rischi personali, bensì sul fare di tutto affinchè sempre più persone imparino e si abituino a ragionare in modo razionale, così che possano valutare autonomamente buona parte dei rischi da tenere in considerazione.
Sappiamo però che le persone non sono abituate a valutare i rischi in modo oggettivo, seppur lo facciamo di continuo. Decidere cosa mangiare, se fare o meno attività fisica, gli ambienti che decidiamo di frequentare, l’assunzione di alcune sostanze o medicinali, la scelta della propria auto e così via.
Sono tutti esempi di scelte che vengono fatte sulla base di una valutazione rischi/benefici, che ce ne rendiamo conto o meno. Il problema a questo punto sta nel fatto che la stragrande maggioranza delle volte queste decisioni vengono prese in modo emotivo in base alle sensazioni del momento. Questo non è certo il modo più saggio di procedere, specialmente se parliamo di scelte complesse e articolate come quelle riguardano problemi su scala globale.
“Alcune delle persone che conosco – racconta la Konnikova – e che sono state tra le prime a riconoscere che ciò che stava accadendo con l’arrivo della Covid-19 e di quanto era necessario che fossimo cauti e che i vari lockdown servissero sul serio, erano proprio giocatori di poker che hanno visto i numeri e hanno subito esclamato «Accidenti, qua le cose si stanno mettendo davvero male»”
Come spiega poi Maria, il fatto che i suoi amici poker player fossero stati i primi a riconoscere che la situazione si stava oggettivamente mettendo male, è dato dal fatto che questi sono abituati a ragionare in modo razionale e conoscono bene come funzionano i numeri, la statistica e le probabilità. Sono quindi persone che hanno ben chiare le dinamiche di crescita esponenziale.
Per un giocatore di poker, abituato a fare di continuo stime di probabilità e ad analizzare potenziali scenari futuri sulla base di calcoli matematici, non è difficile riportare le stesse competenze quando si tratta di analizzare lo stesso tipo di numeri, seppur legati a situazioni completamente diverse.
La prima grande differenza, spiega sempre Maria Konnikova, riguarda il fatto che a differenza del poker, ove le decisioni riguardano solamente la tua sfera personale (o poco più), quando si ragiona in termini di scelte legate alla gestione di una pandemia, gli esiti di questi non riguardano solamente te stesso.
È qualcosa che riguarda la società intera. Riguarda tutto il mondo, tutte le persone che ci sono oggi e, con buone probabilità, andrà ad influire in un verso o nell’altro anche su chi verrà dopo di noi.
“Abbiamo bisogno di delineare in modo molto attento una distinzione qui, perchè molte persone confondono la Covid con con ogni sorta di cose come il poker. Ci sono cose che impattano solo me stessa e ci sono decisioni che, quando faccio qualcosa, hanno influenza anche su altre persone. E qui c’è una grande, enorme differenza, La tolleranza al rischio personale deve essere incorporata in questo tipo di consapevolezza sociale più ampia, ogni volta che si sta facendo questo tipo di valutazioni”
La scrittrice ci mette quindi in guardia circa la sostanziale differenza tra le azioni che hanno impatto solamente su noi stessi e ciò che coinvolge anche gli altri. Come quando si guida dopo aver bevuto alcool, spiega, gli effetti potenzialmente nocivi dell’azione non riguardano solamente la sfera personale, ma altre persone posso subirne delle conseguenze gravi. Se parliamo invece di decidere di provare il paracadutismo, ad esempio, la questione è totalmente diversa.
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La paura è un’emozione che gioca un ruolo cruciale nei nostri processi di valutazione e tolleranza al rischio. In che modo quindi possiamo sfruttare, o quanto meno gestire, la paura nei momenti di decisione?
La prima cosa, spiega, è riuscire a distinguere in modo chiaro le emozioni incidentali da quelle integrali. Come insegnano le scienze cognitive, le emozioni di tipo “incidentale” esistono indipendentemente dal processo decisionale in corso, mentre le emozioni di tipo “integrale” sono direttamente associate alle decisioni da prendere.
Maria ci spiega come sia di fondamentale importanza soffermarsi a ragionare sulle proprie emozioni quando dobbiamo prendere delle decisioni. Dobbiamo abituarci a riconoscerle. Abbiamo bisogno di prendere l’abitudine di interrogarsi sempre circa la provenienza di queste emozioni e il loro scopo. Capire quindi se un’emozione come la paura è legata o meno alla decisione che dobbiamo prendere.
“Molto spesso – prosegue – la risposta è che sono emozioni incidentali, non integrali. Molte emozioni sono incidentali, ma non ti rendi conto che stanno influendo sulle tue valutazioni. Se dirigi la tua attenzione su dove l’emozione ha la sua origine, diventa molto più facile non usarle quando stai effettivamente correndo dei rischi. Ma le emozioni possono anche essere fonte di informazioni. Se non hai la benché minima avversione al rischio nel poker, perderai denaro perché non hai la paura integrale di andare in bancarotta. A volte la paura è importante, e a volte le emozioni cercano di dirti qualcosa”
Come facciamo a pensare alla valutazione del rischio in modo diverso ora che si sta via via riaprendo tutto? Come dovrebbero pensare le aziende e i governi sapendo che alcune persone credono che ci sia un rischio per essere vaccinati o che il rischio di tornare al lavoro sia troppo grande?
Con queste domande si conclude l’intervista alla scrittrice. Con la sua ultima risposta sembra aver colte in pieno un enorme problema che molto spesso non viene preso con la dovuta considerazione.
“Abbiamo la necessità di guardare costantemente ai dati migliori, perché il problema è che non c’è solo incertezza, c’è ambiguità. Ancora non sappiamo molto riguardo alla Covid, e quello che sappiamo continua a cambiare, così come anche i dati. E mentre i dati cambiano, dobbiamo essere costantemente disposti a cambiare idea e ad aggiornare ciò che pensiamo e ciò che è e ciò che non è un rischio accettabile”
Non si tratta quindi di risolvere semplicemente di risolvere un problema di tolleranza al rischio. Si tratta di guardare al quadro generale con un’atteggiamento diverso. Significa doversi mettere in gioco e rivalutare costantemente le proprie convinzioni.
Per parlare con cognizione di causa di tolleranza al rischio legata al discorso pandemico, l’unica cosa da fare è lavorare sull’atteggiamento in generale con il quale ci si appresta a valutare e discutere un problema e su un doveroso cambio di prospettiva. Un grosso nemico da combattere, come spesso accade, pare essere anche in questo ambito la troppa semplificazione.
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