L’evento annuale di poker più importante al mondo, ogni anno aumentano i partecipanti, migliaia e migliaia dei migliori player si scontrano contendendosi montepremi milionari, ma l’edizione 2001 ha rischiato di essere l’ultima a causa di una scelta sconsiderata dell’organizzazione.
Quest’anno si compirà il ventesimo compleanno dell’edizione delle wsop forse più controversa e chiacchierata di sempre. Parliamo di quella volta che gli organizzatori dell’evento, cioè la famiglia del leggendario Benny Binion, creatore del format, hanno quasi scatenato una vera e propria rivolta tra i giocatori che ha rischiato di concludersi con un boicottaggio generale.
Nel 2001 gli organizzatori avevano infatti deciso di apportare un piccolo ma sostanziale cambiamento nella gestione degli importi delle iscrizioni ai tornei. Subito dopo la comunicazione di questa decisione, ipocritamente comunicata solo poco prima dell’inizio, con già i giocatori arrivati a Las Vegas per l’occasione, si è scatenato un putiferio.
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Lo sciagurato annuncio
Generalmente nei tornei di poker, che siano dal vivo o a distanza, la quota di iscrizione viene suddivisa in una parte che va ad integrare il montepremi e un’altra piccola tasse, la cosiddetta rake (o “cagnotta”), che viene trattenuto dalla casa da gioco per coprire le varie spese di gestione, il personale e tutto il resto che può servire a permettere lo svolgimento del torneo.
Da quando si è vista la prima edizione delle WSOP, il Main Event non aveva mai previsto una rake. Quando si pagavano i $10,000 dollari necessari per l’iscrizione, l’intera somma andava nel montepremi in palio per i giocatori. La scelta era dovuta principalmente al fatto che i guadagni maggiori dall’evento erano dati da tutte le spese collaterali che i giocatori facevano durante la permanenza a Las Vegas e per garantire di fatto il montepremi fuori di testa cui abbiamo sempre assistito per quel torneo.
Tutto liscio fino all’edizione 2001. In quell’occasione Becky Binion, erede del creatore delle WSOP Benny Binion, ha comunicato solo pochi giorni prima dell’inizio ufficiale del Main Event, che il Casinò Horseshoe avrebbe imposto una fee del tre per cento sul montepremi di tutti i tornei. Il comunicato, posto in quel modo, era chiaramente scritto per evitare di citare apertamente il Main Event, probabilmente conscia del malcontento che avrebbe creato. L’intento di far passare la cosa in sordina purtroppo si rivelò un buco nell’acqua e le cose rischiava seriamente di finire in un enorme disastro per gli organizzatori.
La fee non gradita
La decisione di aggiungere questa tassa venne giustificata in primo luogo dicendo che floorman e dealer dovevano spesso contare sulle mance per raggiungere una paga decente e che servisse un piccolo sforzo da parte dei giocatori per consentire agli impiegati una miglior remunerazione. Di primo acchito la cosa non sembrava rappresentare un problema così sentito tra i giocatori. Tolta qualche voce sommessa che alimentava il chiacchiericcio tra addetti ai lavori e gruppi sparuti di giocatori, non c’erano ancora proteste o rimostranze publiche degne di nota.
Nel momento in cui però venne diffusa la lista di chi avrebbe beneficiato dei proventi della fee aggiunta, le cose cambiarono drasticamente. Oltre a floorman e dealer infatti, la quota aggiuntiva sarebbe dovuta essere divisa anche con gli operatori alle casse, gli addetti ai computer e tutto il resto degli impiegati dell’organizzazione.
Paul Phillips portavoce delle proteste
Noto imprenditore informatico e fortissimo pro player statunitense, Paul Phillips fu uno dei più ferventi oppositori alle nuove regole. Paul si fece per certi versi il portavoce del malcontento generale tra i giocatori presenti: “Se Binion vuole davvero un aumento di salario per i suoi impiegati – sosteneva pubblicamente Phillips – dovrebbe alzare la rake piuttosto che togliere soldi dal montepremi”.
La posizione di Philipps era quindi chiara. Nessun problema a un piccolo aumento di rake, sempre che i fondi aggiuntivi non andassero a tutti i dipendenti della casa da gioco, ma solamente a floorman e dealer come promesso. Inoltre a lui, come a molti altri, non andava per niente bene che ci fossero trattenute direttamente sul montepremi. E questa, forse, è la posizione più sentita dalla maggior parte dei player coinvolti nella vicenda.
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Il colpo basso dell’organizzazione WSOP
Becky Binion, l’organizzatrice chiamata in causa da Phillips, non prese per nulla bene le rimostranze avanzate e rispose con un piccato comunicato:
“Personalmente non prendo neanche un penny da quei soldi, così come la mia famiglia. Sono soldi che andranno agli impiegati che daranno carte ai tornei per tutto il mese”
Oltre al comunicato la figlia di Teddy Binion, probabilmente in modo un po’ impulsivo, prese anche un’altra decisione che si rivelò un passo falso sotto tutti i punti di vista. Ordinò infatti alla security della casa da gioco di farla pagare a Phillips per aver sollevato le proteste. Il poker player venne infatti preso con la forza, a notte fonda, e fatto alzare dal tavolo ove stava giocando tranquillamente e “accompagnato” all’uscita.
Una volta sbattuto fuori dal casinò gli venne anche comunicato non essere più persona gradita nei locali della casa da gioco, neanche per le World Series che stavano sarebbero iniziate di li a poco. La pessima rappresaglia da parte di Binion non passò certo inosservata e l’indignazione per il gesto di cattivo gusto diede a Phillips la carica per ripartire all’attacco.
“L’Horseshoe sta giocando con il fuoco – avvisò Phillips – Ci sono rumori che i giocatori sono arrabbiati e ci sono diversi casinò in tutto il paese che potrebbero pensare di ospitare un campionato del mondo”.
La calma dopo la tempesta e WSOP al via
Non è ben chiaro come, ma pare che in poche ore Paul Phillips e Becky Binion sembravano aver trovato un compromesso e seppellita l’ascia di guerra. Phillips partecipò quindi alle WSOP. Tra le altre cose riuscì anche ad andare a premi, classificandosi in decima posizione, all’evento S.H.O.E. con buy in di $2,100.
Il Main Event WSOP vide lo start regolarmente con 613 iscritti. La fee che venne trattenuta come stabilito in misura del 3% era di ben 183.900$, mentre per il montepremi della competizione restavano 5,946,100 dollari. Il campione di quella controversa edizione fu lo spagnolo Carlos Mortesan, secondo giocatore europeo nella storia ad aggiudicarsi il braccialetto più ambito di tutti. Quello in palio per il primo premio del Main Event WSOP.